Nicolás García Uriburu: l'artista ambientalista che colorò il Canal Grande

5 giugno 2023

Domenica mattina Venezia si è svegliata ancora una volta con le acque dei suoi canali dipinte di un verde fluorescente, un evento che, benché singolare, non è nuovo alla città: fu infatti Nicolás García Uriburu, con la sua performance artistica La Coloración de Venecia, ad ottenere un risultato analogo nel 1968, quando colorò di smeraldo il Canal Grande.

Uriburu è stato un artista ed ecologista argentino nato a Buenos Aires nel 1937. Studente di architettura presso l'Università di Buenos Aires, tiene la sua prima personale di pittura alla Galleria Müller nel 1954, per poi esporre nel 1960 alla Galleria Lirolay.

L’attivista lascerà la terra natia nel 1965, quando, dopo aver ricevuto il Premio Braque, si trasferisce a Parigi insieme alla moglie. Tre anni più tardi, otterrà un altro riconoscimento, il Grand Prix al Salón Nacional de Artes Plásticas, grazie ad un’opera che strizza l’occhio all’estetica della pop art: Las tres gracias. È sempre nella fervente Parigi del ’68 che l’artista corrobora il suo impegno ambientalista andando a dar vita alla Galleria Iris Clert, a Prototipi, una mostra al cui interno si poteva rinvenire un'installazione con animali e piante acriliche.

Il 1968 è anche l’anno della 34ª Biennale Internazionale d'Arte di Venezia, e sarà proprio qui che il 19 giugno 1968 Uriburu andrà a realizzare il suo primo intervento in natura, colorando di un verde acceso le acque del Canal Grande con la fluoresceina sodica, un agente colorante innocuo per l’ecosistema marino, che pare essere lo stesso utilizzato il 28 maggio scorso, e che è andato ad accendere la tonalità di verde dei canali dando il via a svariate supposizioni su quello che potesse essere l’autore del gesto, nonché sull’eventuale messaggio dietro ad esso: una ricerca che sino ad ora non ha dato frutti. Il messaggio di Uriburu era invece ben chiaro: sensibilizzare la società sulla tematica dell'inquinamento delle acque, una crociata, quella dell’artista che lo porterà a cimentarsi in altre performance che andrà a mettere in scena nei fiumi di New York, Parigi e Buenos Aires, così come nelle fontane e nei porti di tutto il mondo.

Uriburu quell’anno non era ufficialmente invitato alla Biennale, anzi non vi esporrà mai durante il corso della sua vita, ma decise che Venezia sarebbe stato il teatro perfetto per la sua opera, così partì da Parigi in treno verso Milano, dove avrebbe acquistato il colorante per poi raggiungere, sempre in treno, la città lagunare. Alloggiò in un piccolo hotel vicino Piazza San Marco, il tutto a spese proprie, questo in quanto, in virtù del fatto che la curatela della Biennale non lo aveva selezionato per esporre, egli non poté ovviamente godere di alcun sostegno economico o istituzionale. Fu il solo critico d’arte francese Pierre Restany a sostenerlo, quantomeno moralmente.

La Coloración, come la chiamava lui, iniziò alle sei del mattino, ma fu tutt’altro che tranquilla, con la polizia ad inseguire l’artista ed il suo entourage una volta scoperti. Addirittura al loro ritorno in hotel gli argentini si trovano ad essere cacciati dalla struttura al grido di “Canaglie, siete dei terroristi! Fuori di qui!”. Uriburu riuscì a lasciare Venezia, ma fu poi fermato a Milano dove venne trattenuto mentre un team di scienziati analizzava l’agente utilizzato dall’artista nella sua performance, questo al fine di capire se avesse potuto comportare qualsivoglia danno ambientale.

L’avvenimento fece così scalpore che, prima che fosse appurata la non dannosità del gesto, vi fu chi chiese addirittura la fine della Biennale. Ma la situazione si risolse, ed anzi Uriburu venne elogiato per la sua arte, e per quella che fu un’opera che a tutti gli effetti segnò l’inizio della cosiddetta “land art”.

L’attivismo ambientalista dell’argentino si estrinsecherà in seguito anche attraverso una serie di dipinti aventi come soggetto principe specie in via di estinzione, paesaggi e animali sudamericani, ma non andrà comunque ad abbandonare quello che divenne forse il suo marchio di fabbrica, ovvero la colorazione delle acque: è infatti il 1981 quando, insieme all'artista tedesco Joseph Beuys, andrà a colorare il Reno.

Altresì l’artista si troverà nello stesso anno a piantare 7.000 querce durante Documenta 7 a Kassel, e addirittura 50.000 alberi due anni dopo per le strade della sua città, Buenos Aires. La capitale argentina giocherà un ruolo così influente nel lavoro di Uriburu da far sì che l’artista si troverà, nel corso degli anni ’80, a rappresentarne figurativamente su tela i miti: Eva Perón, Carlos Gardel e la Vergine di Luján diverranno infatti protagonisti del suo lavoro.

L’impegno ambientalista di Uriburu non si limitò però alla sensibilizzazione tramite il veicolo artistico, ma trascese nella concretezza: non solo infatti fiancheggiò Greenpeace in alcune sue attività, ma fu anche uno dei membri fondatori del Grupo Bosque, con il quale prese parte a svariate campagne di riforestazione a Maldonado, in Uruguay.