23 gennaio 2023
Il casual è un movimento subculturale che affonda le sue radici nell’Inghilterra degli anni ’80, per la precisione nelle città di Liverpool e Manchester, in un momento in cui la violenza fra tifoserie rivali nelle terrace degli stadi inglesi andò forse a raggiungere il suo culmine.
Fu in risposta a questa deriva violenta che la polizia di Sua Maestà cercò di arginare il problema effettuando arresti a campione fra coloro che dentro allo stadio, e nelle zone ad esso limitrofe, portavano addosso i colori delle squadre che andavano a tifare, questo indipendentemente dal fatto che costoro fossero o meno parte di una firm, ovvero quei famigerati gruppi organizzati di hooligan del Regno Unito, resi famosi anche da più o meno recenti film come Hooligans, pellicola del 2005 con Elijah Wood e Charlie Hunnam, e trattante delle vicende gravitanti attorno l’universo di una firm del West Ham United, quella Green Street Elite ispirata all'Inter City Firm, un gruppo attivo a Londra negli anni settanta e ottanta, la cui arcinota rivalità con la tifoseria del Millwall sfociava spesso in scontri per le strade della capitale inglese. Leggenda vuole che nelle risse in cui ICF aveva la meglio sui rivali, i suoi membri lasciassero sul luogo dello scontro alcuni biglietti con la dicitura "Congratulazioni, hai appena incontrato l'ICF".
Per evitare di trovarsi in manette, gli ultrà dal canto loro adottarono la più semplice delle soluzioni, eludere la polizia non indossando i colori dei propri club, e andando allo stadio vestiti come coloro che con il mondo hooligan non avevano nulla a che fare, ovvero come delle persone qualsiasi che si recavano a vedere la partita con addosso look borghesi da “bravi ragazzi” caratterizzati da maglioni Ben Sherman o polo Fred Perry, rendendo così arduo per le forze dell’ordine identificarli.
Proprio da questo nuovo modo di abbigliarsi per andare a tifare deriva il motto “vestirsi bene, comportarsi male”, perché se è vero che l’outfit degli hooligan era variato, non lo erano di certo le scorribande di cui si rendevano protagonisti.
Il vestirsi bene si andò a declinare nell’utilizzo di capi firmati sempre negli anni ’80, quando i tifosi inglesi per seguire le trasferte che vedevano impegnati i club d’oltremanica nelle coppe europee, si trovarono a viaggiare nelle capitali della moda di Italia e Francia, e qui svaligiavano interi negozi entrandovi in gruppi numerosi e rubando i capi di alta moda. Fu allora che quei vestiti di costose marche italiane quali C.P. Company, Stone Island, Fila, Ellesse, Sergio Tacchini e Diadora, sublimarono da semplici capi d’abbigliamento a simboli di una subcultura, trofei da esibire nelle strade d’Inghilterra e che presto sarebbero divenuti una moda per tutti gli ultrà d’Europa.
Ai già citati brand si aggiunsero poi nell’immaginario della subcultura casual marche come Adidas, Barbour, Ralph Lauren, Henry Cotton, Burberry, Aquascutum, Lyle & Scott, Umbro, Henry Lloyd, Paul & Shark, Lacoste e The North Face, il tutto alimentato anche dal fatto che quest’estetica veniva fatta propria da band come gli Stone Roses, e successivamente gli Oasis, che ne fecero un vero e proprio marchio di fabbrica. Il britpop attinse dunque a piene mani da una subcultura che prima, essendo vicina all’ambiente mod e skinhead, si ritrovava maggiormente nelle sonorità per l’appunto della musica mod, piuttosto che del punk.
Anche l’indierock dei primi anni duemila ha abbracciato il casual, tanto che i Libertines dedicarono una canzone al tema, Hooligans on E. Il titolo è un rimando all’abitudine degli hooligan di prendere dell’ecstasy prima di entrare allo stadio, questo per ovviare al divieto di consumare alcolici negli impianti imposto dalla premier britannica di allora, Margaret Thatcher. Nel testo della canzone si rinviene poi anche un rimando proprio all’estetica casual: in apertura troviamo infatti il verso “Hooligans on E / Meat pies and Burberry / And Aquascutum if you're lucky”. Tale divieto si andava ad unire ad ulteriori provvedimenti quali, fra gli altri, l’incremento dell’utilizzo di telecamere negli stadi, l’identificazione dei tifosi tramite documento d’identità all’ingresso, ed il conferimento di più ampi poteri alla polizia, una risposta questa del governo agli incidenti che riguardarono il sesto turno di FA Cup giocatosi il 13 marzo 1985, match che vide affrontarsi in campo Luton Town e Millwall, così come fuori dalle rettangolo di gioco le rispettive tifoserie.
La band di Carl Barât e Pete Doherty la ritroveremo poi con What a Waster anche nella colonna sonora di un altro film iconico per questa subcultura, The Football Factory, avente come protagonista Danny Dyer, che diverrà in seguito anche volto di The Real Football Factories, una serie che documenta la vita degli ultra nelle varie firm dislocate per il Regno Unito.
Nella serie si può facilmente notare anche un altro elemento che si potrebbe definire dogmatico per la moda casual: le scarpe bianche. Fra i modelli più famosi si possono annoverare Adidas Stan Smith, Diadora Ed Moses e Borg Elite, Lacoste, e Fred Perry, tutti indossati seguendo quello che potremmo definire un codice non scritto che si estrinseca perfettamente nel motto “Only white shoes”.
Se è vero che per ciò che concerne la violenza negli stadi è questo un fenomeno che sta scomparendo dagli spalti, tutti gli altri elementi componenti l’equazione della cultura casual sono invece stati negli ultimi tempi oggetto di un revival che ha trasceso l’universo ultrà.