17 dicembre 2024
In una comunità fortemente stratificata, tanto polarizzata quanto unita, come quella della Venezia di terra e d'acqua, cosa fa da collante tra le generazioni e le loro identità? Il calcio, e le memorie ad esso legate, forse più di qualsiasi altra disciplina.
Carlotta Beltrami, studentessa di comunicazione e nuovi media della moda presso Iuav, lo ha capito, trascorrendo l’ultimo anno ad archiviare le memorie (e memorabilia) del tifo lagunare, dalle origini ad oggi.
Il progetto di tesi ha infatti portato la studentessa, mestrina classe 2002, ad immergersi nella collezione del Venezia FC, un archivio ricchissimo di divise, fotografie, biglietti di partite, manifesti, giornali e tantissima altra oggettistica – dalle sciarpe ai bambolotti – che mai in precedenza era stato documentato a fondo.
Abbiamo incontrato Carlotta per discutere della sua mappatura di un patrimonio iconografico capace di unire le generazioni
Venice by Venezia: Carlotta, sei stata di fatto la prima persona ad esserti addentrata nell’archivio del Venezia FC, un territorio sinora inesplorato. Come hai approcciato la tua ricerca?
Carlotta Beltrami: Mani nella polvere ho iniziato a tirare fuori il materiale, per capirne la mole, e prendere pezzo per pezzo stilando una scheda del fondo di oltre 1800 voci, 1875 per l’esattezza.
Le fotografie in alcuni casi erano deteriorate perché non sempre sono state conservate correttamente nel corso degli anni, spesso è stata una sfida risalire alla data e alla provenienza. Nel fare ciò mi sono consultata principalmente con due collezionisti, Mario Santini e Marco Bevilacqua, che negli anni hanno ceduto le loro collezioni al Venezia FC.
VBV: Quale è stato l'aspetto più sorprendente o affascinante della ricerca?
CB: Il motivo per cui mi sono entusiasmata di più è stato il fatto che guardavo
contemporaneamente due elementi: quello più rigoroso dell'archivio e quello più pop, inteso come popolare, del calcio. Questo dualismo ha caratterizzato tutta la ricerca. Da un lato c’è stata la tematica dell’archivio, che in questo momento attira particolarmente, e quindi l’idea di un potenziale materiale; dall’altro il lato umano, del parlare con persone che avevano dedicato rispettivamente 45 e 25 anni delle proprie vite a raccogliere il materiale.
VBV: Tra il materiale catalogato ci sono divise, fotografie, biglietti, manifesti, e anche molta oggettistica, quello che oggi chiameremmo merchandise. In quale periodo storico hai riscontrato la maggiore prolificità e creatività?
CB: Rispetto ai pochi fondi disponibili, gli anni ‘80 sono stati uno dei periodi più prolifici.Ma è anche a questi problemi economici che in fondo dobbiamo l’unione dell’87. Il periodo che precede l’unione e va dalla metà degli anni ‘60 ai ‘70 è anche una figata, perché ho avuto la percezione di una grande attenzione nella cura dell’immagine e dei materiali delle divise. Senza dubbio si erano evolute rispetto agli inizi del ‘900, ma nel calcio non si era ancora perso quello stesso spirito di aggregazione.
Penso al centro coordinamento club che si occupava di fare stampare dei manifesti con i cori della giornata da distribuire ai tifosi, o alle lavagnette con le illustrazioni dei giocatori che venivano affisse fuori dai bakari per fare i pronostici.
VBV: E relativamente al periodo dell’Unione invece?
CB: Mi hanno colpito soprattutto le maglie, per il gap incredibile che c’è sul piano della complessità estetica rispetto al periodo neroverde. Penso a quella indossata da Recoba nella stagione 1998/1999, anche per via del mito attorno alla persona. Gli anni ‘90 sono stati un periodo roseo per l’Unione, in cui c’era la voglia di crearsi una identità, ma anche un momento pieno di creatività per la moda.
VBV: In effetti tu arrivi dal background della comunicazione della moda. Come hai armonizzato questa disciplina con il calcio: due mondi percepiti come apparentemente lontani ma sempre più in dialogo?
CB: Mai mi sarei immaginata di finire a fare ricerca nell'ambiente calcistico. Quello che mi ha colpito del calcio, che inizialmente trovavo figlio di valori economici lontani da me, è lo sport vissuto come elemento di aggregazione e condivisione degli spazi. Nei confronti della moda c’è un elemento comune con l’impegno sociale dei due settori. Penso alle collaborazioni fatte da Martin Rose, la moda sta portando aria fresca in un calcio che sta cambiando molto ed in cui rischia di essere solo business. Sono importanti le iniziative legate al lato umano dello sport.
VBV: Come si espleta questo approccio rispetto al territorio lagunare?
CB: Sin da quando sono bambina mi è stata trasmessa l’idea di Venezia come un polo aperto, pieno di contaminazioni, con un flusso continuo di creatività. Penso che per il Venezia FC sarebbe interessante lavorare in contatto con più discipline, proprio come la città che rappresenta. La moda può essere solo uno dei tanti canali con cui il calcio può dialogare con la società.
VBV: L’archivio racconta anche l’evoluzione del modo di tifare in laguna (e non solo).
Cosa è cambiato nel tempo?
CB: Penso a un aneddoto che mi ha raccontato Mario Santini, di quando negli anni ‘60 i Centro Coordinamento Club organizzava i pullman per le trasferte e i calciatori aiutavano i tifosi a portare a bordo i pentoloni con la pasta per il pranzo.
Tornando alla memorabilia cartacea, sicuramente era un modo molto meno effimero di vivere la partita. Il vero effimero sono le valanghe di post [sui social media] con cui siamo inondati oggi. Passato uno, due giorni dalla partita non ti resta più nulla, a meno che non sei stato in stadio. È tutto così veloce, ma poco materiale.
VBV: Con che tipo di tifo ti sei interfacciata scavando nell’archivio: quello ultras o quello non organizzato?
CB: La seconda, materiale dei club o merchandising ufficiale. Anche se mi ha colpito molto l'appropriazione di simboli da parte del tifo ultras dell’Unione, non volevo profanare la loro estetica, che è esterna a quella della società. Spero, però, che il mio lavoro riesca a toccare il cuore di tutti, che si tratti di tifosi giovani – che si possono essere avvicinati anche tramite la moda, per esempio – o di anziani che si ricordano del Venezia neroverde.
VBV: Quale è oggi il legame dei tifosi con questi cimeli?
CB: Questi cimeli oggi non sono facilmente accessibili o reperibili. Durante la ricerca c’era infatti molto stupore da parte dei presidenti dei club, specialmente quelli più anziani che sono stati curiosi di rivivere la memorabilia con cui sono cresciuti.
Penso che per i più giovani potrebbe essere invece altrettanto interessante perché la fede calcistica è come un’eredità. La memoria è un terreno fondamentale per riflettere sull’identità di una squadra, fa da collante tra più generazioni e aiuta a comprendere la storia e l’evoluzione del Venezia FC.
VBV: Che cosa si prospetta per l’archivio?
CB: Questa ricerca mi ha anche permesso di capire lo stato dell’arte attorno a me: con sorpresa ho scoperto che ci sono poche realtà internazionali di musealizzazione di archivi calcistici digitali. Oltre alla realizzazione di una pubblicazione cartacea, la ricerca è stata pensata anche per diventare un collezione digitale accessibile e consultabile.
L’archivio sarebbe un modo di restituire qualcosa a chi lo ha conservato per anni e a tutta la comunità, per raccontare un Venezia FC come a molti non è conosciuto. L’archivio ha un grande valore umano.